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Raffaele Del Ponte, a 150 anni dalla morte l'omaggio all'artista scenografo della Processione del Venerdì Santo - FOTO

Morì povero ad appena cinquantanove anni, il 26 marzo 1872, ‘martedì santo’. Tre giorni prima di quella lontana edizione del Venerdì Santo. Che ne suggellò l’immortalità tra i grandi della Storia teatina. Dopo 150 anni dalla sua scomparsa, i “trofei della Passione” [la definizione è di Francesco Vicoli], da egli concepiti nel 1853 e nel 1855 tradotti nelle ‘macchine’ rievocative dei passaggi nodali del martirio di Nostro Signore, continuano a nobilitare la Processione. Certo, Raffaele Del Ponte [Chieti I maggio 1813-26 marzo 1872], perché di lui parliamo, non avrebbe immaginato che in pieno XXI secolo l’opera di ricerca storica sul corteo sacro più antico d’Italia ancora prosegue, con il medesimo pathos di quell’epoca a cavallo dell'Italia unitaria, ad alimentare il dibattito di storici, appassionati di storia dell’arte e di tradizioni popolari. Al riguardo, fu il concittadino Mario Zuccarini [Chieti 24 febbraio 1920-12 novembre 1996], compianto giornalista, bibliotecario e bibliografo, ad individuare nel 1603 l’anno fondativo dell’Arciconfraternita del Sacro Monte dei Morti [grazie ad una iscrizione lapidea della quale si sono purtroppo perse le tracce], sodalizio nella cui meritoria azione di mendicità e di custode della tradizione si individuano le vicende ai noi più prossime del sacro rito.

E qui giova riassumere e distinguere le quattro fasi del Venerdì Santo a Chieti, una delle quali investe proprio la figura di Raffaele Del Ponte. 1. La rievocazione “arcaica” della Passione, ancorata alla fine del V secolo, allorquando si afferma la figura di Giustino Vescovo e nel contempo si ritiene possano farsi risalire il nucleo originario della Cattedrale e [con esso] le prime pratiche liturgiche legate all’Evento religioso. 2. La rievocazione della Passione collegata all’842, anno del ‘fine lavori’ di ricostruzione e, quindi, di riconsacrazione della Cattedrale da parte del vescovo Teodorico dopo la distruzione ed il sacco di Chieti dell’801 per mano del re franco Pipino. 3. La rievocazione della Passione agganciata alla costituzione dell’Arciconfraternita del Sacro Monte dei Morti [1603], dunque l’inizio dell’“era moderna” della Processione stessa, che da allora è curata dagli incappucciati in livrea nero-oro. 4. La rievocazione “contemporanea” della Passione a “doppia firma”: quelle di Saverio Selecchy [Chieti 2 novembre 1708-16 agosto 1788], il più grande compositore abruzzese di musica sacra del ‘700, col suo monumentale ‘Miserere’ che ispirò finanche Giuseppe Verdi [Miserere nel Trovatore]; e di Raffaele Del Ponte, che nel 1855 introduce gli attuali “sette gruppi” o “trofei”, anche se la simbologia scenografica non è stata una novità assoluta, percependosene traccia già nel XIII secolo, sotto l’episcopato dell’arcivescovo Giovanni Oliva. Riprendiamo dal nostro Raffaele Del Ponte. Il talentuoso Raffaele Severino, pittore [suoi ad esempio gli affreschi della volta della chiesa di Santa Chiara] e poi perito acquarellista, tanto da incassare le lodi del critico d’arte Giovan Battista Cavalcaselle [scrittore, storico e patriota, Legnago 22 gennaio 1819-Roma 31 ottobre 1897] e del celebre ‘verista’ abruzzese Filippo Palizzi [Vasto 16 giugno 1818-Napoli 11 settembre 1899], nasce con ogni attendibilità il primo maggio del 1813, e non il 7 come per refuso riportato da F. Vicoli, data quest’ultima che avrebbe contrastato con quella del battesimo, ossia il 5 maggio, come da evidenze del “Liber baptizatorum” della Cattedarale [vedasi Gaetano Meaolo nel suo ‘Venerdì Santo a Chieti’, Marino Solfanelli editore, 1986]. I genitori Francesco [nome completo: Francesco di Paola Del Ponte] e Carmina Cavallini, benestanti, intorno al 1830 lo mandano a Napoli ad imparare scenografia alla scuola del quotato architetto Antonio Nicolini, primo scenografo del San Carlo. E così il giovane Raffaele saprà conciliare la sua passione per l’arte pittorica con quella acquisita della scenografia, concependo per la Processione del Venerdì Santo a Chieti i sette simboli o trofei o gruppi della Passione: l’Angelo, le lance, la colonna della flagellazione col gallo, il Volto Santo inghirlandato, il sasso, la scala e la Croce. Correva la fine del 1853 e di lì a poco, nel 1855, i trofei progettati e disegnati su carta furono tradotti, dai mastri artigiani teatini della famiglia degli Anzellotti e sotto le direttive del Del Ponte, nelle ‘macchine’ che ancor oggi ammiriamo al solenne incedere del corteo sacro. Completano la composizione dell’apparato scenografico della Processione due, preesistenti simboli: il catafalco del Cristo Morto [XVII secolo] e la statua dell’Addolorata [1833, poi facente parte del lascito testamentario disposto da Costanza Olivieri vedova De Laurentiis in favore dell’Arciconfraternita del Sacro Monte dei Morti]. Con la collaborazione di lontani discendenti di uno dei rami della famiglia, Leonida e Glauco Del Ponte, teatini doc ed anch’essi “figli d’arte” [Leonida, detto Paolo, è un esperto fotografo, per anni indimenticato operatore televisivo prima alla emittente locale TVL e poi alla testata giornalista regionale della RAI; Glauco è un pittore dall'elevata cifra stilistica figurativa], abbiamo rintracciato l’essenziale mausoleo della casata ottocentesca dei Del Ponte.

Siamo al Cimitero Monumentale di Chieti e in un diverticolo del viale principale, vicino all’ingresso di Piazzale Sant’Anna, si erge un obelisco con stelle nei pressi della punta e bassorilievi, erosi dal tempo, sui quattro frontespizi, indicanti allegorie nobiliari. “In alto”, spiega Leonida, “è appena leggibile il riferimento alla famiglia, per quello che ci riguarda parliamo ovviamente di legami non diretti poiché sappiamo che Raffaele non ebbe figli, tuttavia amiamo pensare che attraverso il nostro cognome, che con fierezza rivendichiamo tra quelli che hanno fatto la storia della nostra amata Città, si possa tener viva la memoria di un illustre concittadino nel quale si identifica una pagina determinante del Venerdì Santo a Chieti”. E poi “c’è quel dato artistico”, interviene Glauco, “che ci rende orgogliosi, noi siamo poca cosa rispetto ad un grande interprete della pittura e dell’arte scenografica non solo teatina, tuttavia ci piace immaginare che Raffaele possa essere contento del fatto che in qualche modo ed attraverso altri interpreti la sua vocazione artistica si sia rinnovata fino ai giorni nostri”. A pochi metri dall’obelisco sotto il quale vennero tumulate le spoglie mortali di Raffaele Del Ponte c’è la cappella gentilizia della famiglia Selecchy, anche se dal registro degli atti di morte della Parrocchia della Cattedrale risulterebbe che Saverio Selecchy, in quel giorno d’estate del 16 agosto 1788, “fu portato alla sepoltura nella chiesa dei padri francescani” [chiesa di San Francesco al Corso]. Resta comunque la possibilità, da verificare, che a seguito dell’Editto napoleonico di Saint Cloud [12 giugno 1804] i suoi resti possano essere stati trasferiti a fine 800 nella cappella di famiglia, ad una trentina di metri dal luogo di riposo di quello che sarebbe diventato l’altro “aedo” della Processione teatina.

E torniamo, per la chiusura, a Raffaele Del Ponte. Raffaele Saverio nacque in Via Ravizza, praticamente sul largo che oggi porta il suo nome, a ridosso del palazzo Lepri-La Valletta del quale affrescò le volte. Gaetano Meaolo [sacerdote e storico, Chieti 3 maggio 1925-Roma 5 agosto 1993], ha tra l’altro scritto: “Morì povero e, forse, incompreso dai suoi concittadini… Era un’aquila e lo consideravano una rondine … ma tant’è: nemo propheta in patria!”.


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  • Centro storico e Cimitero monumentale