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L'addio a Raffaele Fraticelli "cantore di abruzzesità e teatinità", le esequie stamani nella cattedrale di San Giustino

“Vann’acchiappenne…”. Da quei giorni lontani del 1943-1944, scanditi dal passaparola, cifrato ovviamente in dialetto, delle mamme e mogli teatine per salvare i loro uomini dai rastrellamenti delle truppe tedesche, a questo mesto novembre 2021.

Il giovane Raffaele Fraticelli, all’epoca diciannovenne, si sottrasse a quelle retate, rifugiandosi nelle segrete e nella cella campanaria della Chiesa della SS. Trinità, verrebbe da dire anche per regalarci quello che sarebbe stato il suo immenso patrimonio di umanità e di poesia. Che oggi, nel momento dell’arrivederci in una Cattedrale gremita e commossa, ci trasferisce, silente ma presente, dalla sua nuova, superiore dimensione. Ad officiare le esequie del “Sommo Poeta” teatino, l’arcivescovo Bruno Forte, coadiuvato dal parroco di San Giustino, don Nerio Di Sipio, e da altri presbiteri del Capitolo metropolitano.

Raffaele Fraticelli, classe 1924 [9 gennaio], lascia non solo la sua stupenda famiglia genetica [la moglie Giuliana, i figli Paolo, Cecilia, Marco, Andrea, Giacomo, Chiara e Luca, la sorella Lia, oltre ai nipoti e pronipoti] ma soprattutto la sua famiglia allargata, quella della sua città e del suo Abruzzo. Figlio del popolo, ma senza retorica. Figlio dell’arte, ma senza ostentazione. La sua poesia in vernacolo ha percorso il Dna di tre generazioni di teatini e di abruzzesi quasi accarezzando ciascuno di noi, quasi offrendoci ogni possibile spunto per riconoscerci nelle mille emozioni che sapeva, con immediatezza ed eleganza espressiva, rappresentare e suscitare. Ma non dimentichiamo la sua produzione grafica e pittorica, anch’essa distinta da una elevata cifra artistica. “Il sorriso dell’uomo e del poeta, la capacità di regalarlo agli altri e di generarlo negli altri, la fede e l’umiltà del credente”. Su questi concetti S.E. Bruno Forte ha sviluppato i passaggi salienti della sua omelia riuscendo a cogliere l’aspetto emergente della comunanza fra “Lulluccio” [o “Lilluccio”] e la sua gente. Fossimo in uno stadio sicuramente la “curva” avrebbe intonato: “Uno di noi, Lulluccio uno di noi, uno di noi, Lulluccio uno di noi…”. Siamo in Cattedrale, ed allora la modalità cambia. Ma non la sostanza. Che parla di un amabile, sincero, disponibile ed empatico aedo degli “Abruzzi”. A ricordarlo anche una delegazione di giornalisti della Tgr per via delle collaborazioni radiofoniche prestate da Raffaele Fraticelli nelle vesti del famoso “zì Carminuccio”, mattatore indiscusso della leggendaria trasmissione “Pe’ la Majella”.

“Da quando anche Papa Francesco ebbe a tratteggiare la valenza del dialetto quale lingua del popolo e ad apprezzare, di Fraticelli, una trasposizione popolare di passi evangelici”, commenta anche il giornalista Rendine con una punta di commozione, “Lulluccio era ancor più fiero e orgoglioso della sua missione di narratore della sua gente”. Nei giorni scorsi in tanti, in troppi per citarli tutti, hanno magnificato la figura dell’uomo e del poeta. Giampiero Perrotti, a nome del comitato cittadino per il rilancio e la salvaguardia di Chieti, ha parlato di “una grave perdita, quella di una delle voci più limpide ed armoniose della poesia dialettale abruzzese di ogni tempo”, augurandosi che “la Città saprà degnamente onorarne la memoria”. Invito che il sindaco Diego Ferrara sembra voler raccogliere in tempi brevi atteso il profilo di Fraticelli, subito tratteggiato dallo stesso primo cittadino: “Chieti perde la voce di un poeta, di uno scrittore, di un creativo e di un concittadino profondamente innamorato delle sue origini e della sua Città”.

Ed allora addio, Raffaele. Ci incontrammo a fine maggio fa proprio qui, sugli scavi di una piazza San Giustino appena benedetta dal Segretario di Stato Vaticano, Cardinale Pietro Parolin. Esprimesti, di poco incerto nell’incedere ma granitico nella lucida volontà, il desiderio di visitare la cattedrale. Marco e Paolo ti sostennero con discrezione in quel contatto col Trascendente. Che oggi accompagna la tua partenza. Addio Lulluccio, personaggio monumentale della abruzzesità e, segnatamente, della teatinità. Non c’è tradizione, istituzione culturale, emozione identitaria a cui tu non abbia riservato l’estro, la profondità, il calore e la cifra valoriale della tua poesia. Chieti ti è grata, per averla narrata con i colori, i suoni e le parole dell’eloquio degli ultimi. E, nel contempo, con la statura che solo i “grandi” sono in grado di affermare tra le pieghe del cuore.


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