Segnalazioni

L'ennesimo grido d'allarme della periferia abbandonata: degrado nella zona dell'ex San Camillo

Mentre a Palazzo d’Achille va in scena una rievocazione del Trono di Spade, con gruppi e partiti che si alleano, si odiano, si attaccano e tramano l’uno contro l’altro, la città di Chieti se la vede con Madre Natura.

Come già segnalato da altri concittadini riguardo altre zone, torno anch’io a riportare, per l’ennesima volta, la situazione assurda di incuria in cui versa l’area dell’ex ospedale S. Camillo, di S. Barbara e di via Forlanini. Mi presento: sono Daniele Nicolucci, a Chieti e in particolare in questa zona sono nato e abito da 35 anni, ho qui la mia attività, pago regolarmente tutto quello che c’è da pagare, e davvero preferirei non dover scrivere queste parole e mostrare queste immagini per l’ennesima volta.

Chi mi legge mi scuserà per la lunghezza, ma le cose da dire sono tante; inoltre non scrivo solo a nome mio: sono davvero tanti i residenti della zona sfiduciati, amareggiati e delusi.

A partire dalla chiusura dell’ospedale, nel settembre 2007, l’intero quartiere è stato vittima di un progressivo ma inesorabile degrado, dovuto tanto all’incuria dei singoli quanto al disinteresse delle istituzioni locali: se, ad esempio, è vero che l’abbandono dei rifiuti è causato dall’inciviltà di alcuni, è altrettanto vero che la sicurezza stradale dipende da chi le strade le gestisce.

A questo proposito, le erbacce che crescono ai lati di Via Forlanini, in particolare nel tratto che va dall’incrocio con Via S. Barbara all’incrocio con Strada Fontanelle e oltre (punto in cui la strada diventa di responsabilità dell’ANAS), sono letteralmente diventate un pericolo per la sicurezza, sia dei pedoni che degli automobilisti. In alcuni punti è praticamente impossibile passare a piedi, se non invadendo per più di un metro la corsia riservata alle auto, con tutti gli evidenti rischi che questo comporta. Procedendo oltre l’ospedale verso il Buonconsiglio, in particolare, ci si ritrova nella situazione paradossale di avere un marciapiede sulla destra invaso da piante di vario genere, e un canneto sulla sinistra che sta letteralmente spaccando l’asfalto. Chi vive qui si ricorda ancora di quando il primo tratto della strada tra Via S. Barbara e l’ospedale crollò a valle, e dei successivi mesi di lavoro per la ricostruzione e l’installazione di una struttura di contenimento: era il 2005, e prima del crollo le segnalazioni non erano certo mancate.

La giungla in questione porta anche alla presenza di animali selvatici che mettono a rischio se stessi, gli automobilisti e i pedoni. Ho personalmente fotografato più volte, in alcuni casi semplicemente dal balcone di casa mia, dei caprioli; circa un mese fa uno di loro ha attraversato la strada davanti a me e mio padre che passeggiavamo con il nostro cane, e nelle ultime settimane diversi altri residenti hanno visto famiglie di cinghiali a due passi da casa. Chiunque può facilmente immaginare il tipo di danno che può causare un animale del genere — anche a se stesso — che sbuca all’improvviso davanti a un’auto, magari di notte. Non parliamo poi dei serpenti (alcuni velenosi, la maggior parte per fortuna no) e dei ratti: sia gli uni che gli altri sono spesso vittime delle auto; e quando ciò accade, se qualcuno della zona non si premura di rimuovere le carcasse in decomposizione, queste chiaramente restano a marcire sotto il sole mentre la natura fa il suo corso.
Restando in ambito di animali, vale la pena far notare che ormai anche uscire a fare due passi con il proprio cane sta diventando un problema per via della vegetazione: al di là degli vari rischi logistici (se in alcuni punti è difficile passare da soli, figuriamoci con uno o più animali al seguito), praticamente tutti i proprietari di cani della zona hanno dovuto fare i conti con le conseguenze dei rovi, dei forasacchi e di tutto il resto; oltre al costo strettamente economico delle cure veterinarie, si tratta comunque di procedure in alcuni casi invasive che non fanno piacere a nessuno.
Tutto questo sarebbe perfettamente evitabile se solo la vegetazione della zona fosse tenuta con un minimo di cura da chi di dovere. In più punti la situazione è diventata talmente insostenibile che alcuni residenti si sono messi a fare quello che dovrebbe fare qualcun altro e per cui, del resto, paghiamo le tasse; e l’hanno fatto a proprie spese, nel proprio tempo libero, e soprattutto mettendo a rischio la propria incolumità.

Qualcuno dirà: “ho saputo che le erbacce sono state sfalciate nella notte tra il 23 e il 24 giugno”. Peccato che l’operazione di sfalcio si sia limitata solo a una parte (il marciapiede dopo l’ex ospedale non è stato toccato), e di fatto non ha risolto granché: è ancora tutto lì. L’unica differenza è che ora si tratta di scarti a terra, e che visti i precedenti resteranno lì finché non saranno coperti da nuove erbacce. Camminare con sicurezza è tanto complicato quanto lo era prima, visto che bisogna comunque spostarsi in mezzo alla corsia.
Non solo: l’intervento ha messo chiaramente in luce il fatto che la porzione di strada tra la fine del guardrail e la fermata dell’autobus sta lentamente scivolando nella scarpata, esattamente come avvenne 14 anni fa poco oltre: le acque piovane hanno letteralmente scavato la terra, a tal punto che l’area esterna alla corsia di marcia è a un livello notevolmente più basso. 
Esattamente di fronte, poi, c’è quello che in teoria dovrebbe essere un canale di scolo. Peccato che la cunetta sia talmente invasa dalle piante da essere assolutamente inutile, e anzi di costituire un pericolo per gli automobilisti ignari: più volte qualcuno si è ritrovato a dover chiamare il carro attrezzi perché pensava che ci fosse uno strato solido di terra (e come dargli torto?), salvo poi ritrovarsi incastrato. Il motivo per cui questa cunetta non sia stata intubata e chiusa come le altre durante i lavori del 2005 resta un mistero, nonostante l’assurdità della cosa, all’epoca, fosse stata segnalata direttamente agli operai da diversi residenti.

La situazione diventa ancora più assurda se si considera che ci sono diversi terreni incolti e abbandonati che, quando le erbacce iniziano a seccarsi, costituiscono di fatto un concreto rischio d’incendio. Eppure ci sarebbe l’ordinanza n. 45 dell’8 marzo 2016 (protocollo n. 12550), con oggetto “Ordinanza contingibile ed urgente per la pulizia - manutenzione di terreni privati con presenza di rifiuti, sterpaglie, cespugli, rovi, ramaglie ed erbe selvatiche, siti nel territorio comunale”. Chi vuole può cercarla sul sito del Comune; chi non vuole sappia che, riassumendo in breve, i proprietari (o chi per loro) di terreni non coltivati sono obbligati a tenerli puliti almeno tre volte l’anno, la prima delle quali entro e non oltre il 15 maggio, e “ogni qualvolta sia necessario”. Di terreni incolti e abbandonati negli immediati dintorni dell’ex san Camillo ve ne sono almeno due, entrambi che si affacciano su strade di pertinenza comunale: quello di fronte al piazzale dell’ex ospedale su via Forlanini, e quello tra l’ex Ospedale e le De Lollis/Nolli su via Mattoli.
Il secondo di questi terreni, che secondo le voci di quartiere avrebbe dovuto ospitare alcune nuove costruzioni di cui poi non si è saputo più nulla, è in condizioni particolarmente impietose. Come già segnalato in passato, a ogni temporale si riversano in strada fiumi di acqua e, con le condizioni giuste, anche di fango. Parliamo di quantità tali da aver letteralmente scavato l’asfalto della strada, con tutti gli ulteriori rischi che questo provoca agli automobilisti.

Sempre in merito al traffico, nel tratto tra S. Barbara e il cartello “fine gestione ANAS” i lampioni si accendono tutti i giorni 15-20 minuti dopo gli altri. D’inverno, quando fa notte presto e magari la visibilità è ridotta per via del maltempo, la cosa non è così banale come può sembrare a prima vista, soprattutto unita alle altre questioni irrisolte. D’altro canto sono serviti quattro anni — il foro nell’asfalto del 2013, il palo nel 2015 e finalmente la lampadina del 2017 — per avere un nuovo lampione nel piazzale, quindi si può dire con ragionevole certezza che l’illuminazione decisamente non è una delle priorità.

E poi c’è il problema che tutti hanno davanti agli occhi, ma di cui nessuno parla; gli inglesi lo chiamerebbero l’elefante nella stanza. Mi riferisco ovviamente all’ex ospedale S. Camillo. Da quando è stato chiuso, nel settembre 2007, è diventato sostanzialmente meta turistica di gruppi di persone di ogni età con intenzioni piuttosto varie: da chi si diletta di esplorazione urbana e al massimo scatta delle foto per i propri album, a chi invece (spesso approfittando dell’essere minorenne) fa di ogni danno un trofeo; aggiungiamo anche che i punti di accesso alla struttura sono aumentati nel tempo, a mano a mano che le protezioni stesse vanno cedendo, e questo genere di “turismo” va proporzionalmente aumentando.
Ricordiamo che parliamo di una struttura di proprietà della ASL posta sotto parziale sequestro dalla Guardia Forestale nel 2014 (con successiva condanna di un dirigente nel 2018) per “gestione illecita dei rifiuti”, visto che era a tutti gli effetti una discarica a cielo aperto, e per giunta di materiale medico che andrebbe stoccato e smaltito con tutte le cure del caso. Ricordiamo inoltre che il 30 aprile 2017 alcuni locali esterni dell’ex ospedale adibiti a deposito sono stati danneggiati da un incendio doloso.
È veramente triste vedere quello che era un centro d’eccellenza di cardiochirurgia trasformato in una cattedrale nel deserto, vittima peraltro anche dello stesso parco che lo avvolge. Non servono certo un elicottero o un drone per vedere che ormai la vegetazione sul retro ha raggiunto non il primo, ma addirittura il secondo piano: sono sufficienti le mappe online.
Si parla tanto di rivitalizzare le vecchie strutture abbandonate sul colle, ma l’ex S. Camillo è escluso perfino da quei discorsi; ed è un peccato, soprattutto proprio per via del parco che ha intorno.

E così, come si diceva, mentre l’amministrazione e le opposizioni si dedicano alla loro versione del Trono di Spade, la cittadinanza — come avviene ormai da anni — fa i conti con giungle fuori controllo, strade dissestate, strutture abbandonate e animali selvatici in decomposizione. Speriamo almeno che non arrivino i draghi, se non altro perché il rischio d’incendio da queste parti è già piuttosto alto.


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