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"Chieti e l'Abruzzo Citeriore nel 700", Aurelio Bigi torna al Marrucino in veste di scrittore e storico per la presentazione del suo nuovo libro

Più che un libro, un album di memoria condivisa. Che fotografa Chieti e l’Abruzzo Citeriore del 1700. Ed a confortare il romantico incedere tra la grandeur e la nobiltà che furono i segni distintivi di estrazione identitaria della “seconda città per importanza del Regno di Napoli”, così l’arcivescovo Bruno Forte nel suo intervento introduttivo, ci sono dati, cifre, riscontri socio-economici. Presentata ieri al Marrucino “Chieti e l’Abruzzo Citeriore nel settecento” [Verdone Editore, Castelli, Teramo], vera e propria opera omnia dello storico e saggista Aurelio Bigi il quale, dopo il proficuo impegno nelle vesti di Commissario Straordinario della Deputazione Teatrale dal 1996 al 2006, torna nel “suo Teatro” come illustre Autore. Appena uscito dalle fatiche de “Lo Scoutismo Cattolico in Abruzzo e Molise 1922-1974”, edizioni Portofranco, co-autore Giovanni Santucci], Bigi dedica questa sua nuova pubblicazione “Ai Teatini ed alle Associazioni culturali operanti a Chieti che, consci delle eccellenze e delle peculiarità dei chietini, credono ancora nel futuro della propria città ed operano per migliorarla”. Due anni di gestazione dedicati alla raccolta delle fonti fra Archivio Storico Comunale ed Archivio di Stato, grazie alla collaborazione dei rispettivi responsabili Luigia Ioannone e Pietro Federico. Il tutto per un risultato di prestigio che ci restituisce la storia settecentesca di una Città viva, inclusiva e, se volete, “europea” attesi i collegamenti con altre Nazioni tessuti dalle sue menti migliori.

“Basta scorrere alcuni nomi illustri della Chieti dell’epoca”, aggiunge l’arcivescovo metropolita di Chieti-Vasto, padre Bruno Forte, “da Romualdo De Sterlich a Ferdinando Galiani, interpreti di una economia che però sapeva anche guardare ai bisogni più elevati dell’uomo, da Federico Valignani a Gennaro Ravizza, portatori di mecenatismo e spinte identitarie pronte nel contempo a significative aperture dall’architettura all’arte ed alla cultura, per accorgerci come il libro firmato da Aurelio Bigi realizzi a pieno la massima ‘la memoria è la casa della profezia’”. Di Chieti si parlava oltre i confini del Regno ed a Chieti arrivavano uomini d’affari, artisti, letterati. Tutti attratti da questa Città che metropoli non era ma che della capitale, Napoli, rifletteva contraddizioni e limiti del sistema feudale ma anche quelle riforme che nel 1741 avrebbero portato il giovane sovrano Carlo di Borbone a siglare il Concordato con la Chiesa [con abbattimento dei privilegi del clero] e, nel 1742, ad istituire il catasto onciario, sulla base del riordino fiscale concepito da Bernardo Tanucci. Dieci anni prima, nel 1732, a Chieti già si provvedeva al censimento degli immobili con una progressiva opera di collegamento degli indici reddituali dati dai fabbricati con quelli desumibili dalla composizione delle famiglie e delle attività svolte dai singoli. A margine una valanga di informazioni preziose per sedimentare i dati sociali della popolazione: dalla differenza di età tra i coniugi, ai nomi di battesimo più diffusi, dal grado di scolarizzazione alla distribuzione della popolazione nelle quattro parrocchie di Chieti, dai fenomeni di migrazione tra le province del Regno ai flussi di immigrazione verso il capoluogo abruzzese, dall’organizzazione della Sanità alla assistenza sociale.

“I funzionari suddivisi in quattro gruppi, incaricati di procedere al riordino del catasto”, spiega Aurelio Bigi, “censivano i vari Fuochi [famiglie] nel seguente ordine: marito, moglie, figli maschi, donne”. La maggior parte della popolazione abitava in palazzi di proprietà ma molti ricorrevano allo strumento della locazione. Nella fascia immediatamente fuori le mura, diverse erano le soluzioni abitative fra masserie, mulini, case di terra, pagliai. Studio molto analitico anche sul fronte della solidarietà, di stampo religioso ma anche laico. A si contavano nove “conservatori”, fra cui quelli delle Pupille, fondato dall’arcivescovo Nicolò Radulovich, classe 1659, che governò la diocesi per ben 43 anni dopo aver preso, giovanissimo, gli ordini episcopali nel giro di pochi mesi; di Sant’Agata, delle Orfane [San Raffaele] e delle Pentite [in gestione alla confraternita del SS Rosario, il primo sodalizio di mendicità a divenire arciconfraternita, oggi ricostituitasi a San Domenico dopo lo scioglimento di alcuni anni fa]. “E’ stato un lavoro certosino”, conferma Aurelio Bigi, “che abbraccia tutti i comuni teatini e quelli attualmente pescaresi, con inclusione dell’aquilana Sulmona”. La vera novità del metodo di ricerca è che, essendo stato condotto “Fuoco per Fuoco”, si è potuto scandagliare, per ogni comunità, dall’esatta composizione della popolazione residente [con tanto di sfaccettature legate alle professioni ed ai mestieri, alle differenze di età tra coniugi, alla tipologia largamente patriarcale delle famiglie, finanche alla composizione media per nucleo pari a 5,6 elementi] al tipo di istruzione ed alla condizione della donna, al numero delle famiglie nobili di Chieti, al sistema di elezione dei parroci. E così scopriamo che nell’Abruzzo Citeriore i parroci erano soprattutto di nomina vescovile e regia, a seguire le nomine delle baronie locali ed in rari casi, come quello di Villa Martelli nel lancianese, anche di elezione diretta da parte del popolo, salvo poi la necessaria ratifica del Re. Era una società a trazione agricola e di pastorizia nella zona montana e pedemontana. Sulle coste, la pesca spesso era resa compatibile con la piccola agricoltura quale sistema di integrazione del reddito familiare. In alcune realtà come San Vito, Ortona, Vasto, si affermavano qualificati cantieri navali. Peculiarità artigianali nella zona dell’Aventino, in primis legate alla lavorazione della lana come a Taranta Peligna e Lama dei Peligni, a Lanciano si producevano gli aghi, nella zona di Salle, Musellaro e Bolognano le corde musicali fatte con budella di animali. Chieti eccelleva in vetrerie, tintorie, vettovaglie. Nei paesi montani più esposti ai flussi migratori, tra questi Colledimacine, si organizzavano gruppi per l’estrazione del carbone nella campagna romana. “Dunque”, spiega Bigi, “se possedevi un terreno buono, coltivavi, ti sfamavi, esportavi, barattavi. Altrimenti, andavi fuori e dovevi inventarti qualcosa”. Due i capitoli dedicati ai restauri a Chieti dopo i terremoti del 1703 e del 1706, con importanti opere legate alle fortificazioni della cinta muraria della città ed alle commesse per affermati pittori come il teatino Donato Teodoro.

“Quando si parla della Chieti del 700”, conclude Aurelio Bigi, si viaggia in genere per grandi filoni, come quello culturale dell’Illuminismo, la mia ricerca, invece, scende più nel locale, è rivolta ai Fuochi, che poi erano in pratica famiglie allargate, tenuto conto dei servi, cocchieri, cuochi, donne di servizio, affronta il lavoro minorile, molto diffuso all’epoca, ed è contiguo al contesto territoriale nel quale le famiglie vivevano, mi riferisco alla viabilità ed alle comunicazioni, alle interazioni sociali ed economiche”.

Come detto in apertura, la Chieti del 1732 era molto inclusiva, accogliendo forestieri, artisti e letterati attratti dalla sua fama di piccola Napoli a Nord-Est del Regno. La Teate dei Borbone contava 9395 abitanti, 1838 fuochi infra mura e 452 oltre le mura, 114 tra nobili e benestanti, 266 uomini e donne di chiesa, 57 tra alti funzionari e dipendenti pubblici, 49 tra scolari e studenti, oltre 100 seminaristi provenienti da tutta la Diocesi ospiti del Seminario Diocesano, 100 addetti alle armi, difesa e sicurezza, 145 commercianti, 1002 agricoltori ed allevatori fuori le mura, 583 artigiani, 187 lavoratori delle scuderie, 372 domestici. Ringraziamenti ad Aurelio Bigi per il suo “Chieti e l’Abruzzo Citeriore nel 700” sono stati espressi nel corso del salotto letterario allestito sul palco del Marrucino dal Sindaco Diego Ferrara [“un cittadino esemplare e valente storico distintosi in varie iniziative di prestigio al servizio della Città”]; dal suo vice e delegato alla Cultura Paolo De Cesare [“mi sento di poter affermare che Bigi meriterebbe ampiamente il ruolo di assessore alla Cultura in pectore della Città”]; dal Presidente del CdA del Teatro Marrucino Giustino Angeloni [che, nell’evidenziare come l’impegno di Bigi vada nella direzione del recupero della “coscienza identitaria di una Città dagli oltre 3000 anni di storia”, annunzia l’ospitalità data dall’Ente teatrale all’Orchestra Nazionale dell’Ucraina]; ed infine dal citato arcivescovo Bruno Forte [che esalta il “ruolo di crocevia rivestito da Chieti quale luogo di incontro e saldatura fra Oriente ed Occidente”]. La presentazione del volume è stata ulteriormente ingentilita dalle esibizioni al pianoforte del direttore artistico del Teatro Marucino, il maestro Giuliano Mazzoccante, e del giovane pianista Denny Costantini di Atessa. Letture dell’attrice Giuliana Antenucci, sponsorizzazione ‘Scarimec’ Chieti.


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