Cronaca

"La città della camomilla come un lasciapassare a tutto ciò che non va bene", Paolo Tocco presenta il suo ultimo lavoro

Dalla musica plastificata figlia dei format ai meravigliosi talenti dell'Abruzzo, costretti a sudare per guadagnare spazio: una chiacchierata con il cantautore teatino che ci presenta il suo ultimo disco che si intitola "Ho bisogno di aria"

Paolo Tocco

Il bisogno d’aria come necessità di evasione, di tornare alle radici, liberarsi dalle finzioni e dal non dover avere sempre un’opinione su tutto. È il leit motiv che accompagna il nuovo disco di Paolo Tocco. Si intitola appunto “Ho bisogno di aria” ed è il terzo lavoro in studio del cantautore teatino, uscito il 17 novembre per Irma Records, a cui si accompagna un romanzo omonimo, edito da Lupieditore di Sulmona, che racconta la vita quotidiana di provincia in bilico tra un’ostentata moralità e retroscena piccanti. Il primo estratto si intitola "La città della camomilla", non proprio un riferimento sfacciato a Chieti ma metafora di tutte le cittadine di provincia.

1. Un ritorno alle origini per salvarsi dalle apparenze, dalla superficialità, dai tuttologi?

Domanda difficilissima. Salvarsi è una parola strana, non so se la userei. Innanzitutto io faccio parte della stessa barca, non sono migliore di nessuno. Dunque prima di tutto sarebbe un salvarsi, da se stessi o da ciò che stiamo tutti diventando - e qui lasciami anche dire che fare di tutt’erba un fascio non è mai cosa buona ma è drammaticamente vero che faccio enorme difficoltà a trovare un’eccezione, chiacchiere a parte s’intenda, che lì siamo tutti maestri. Siamo figli di questa nuova era in cui la comunicazione è immediata, onnipresente su tutti i canali e su tutti i dispositivi e - soprattutto - è dominante su tutti i fronti del sapere. Ormai con i social non abbiamo solo un’opinione su tutto ma ci mettiamo addosso anche l’autorevolezza di metterla in mostra e penso che sia il livello più basso che l’intelligenza di un uomo possa toccare. Siamo divenuti prevedibili e calcolabili non solo nei gusti e nelle mode ma anche e soprattutto nel pensiero… e a farci caso per bene, invece di infastidirci di queste parole, vedremmo come perfino l’informazione di cronaca e di politica viene strumentalizzata per farci pensare domani quello che si sta seminando oggi. Non stiamo scoprendo niente di nuovo. Solo che prima i nostri genitori scendevano in strada per la rivoluzione mentre noi oggi restiamo incollati al computer a fare i tuttologi e basta. Chiacchiere troppo spesso anche prive di cultura. Questo è quello che vogliono. Questo è quello che facciamo. In questo disco e in particolare nel romanzo metto in piazza l’evidenza dei fatti dal mio piccolo punto di vista. È la storia di come io (e il protagonista del romanzo) reagisce al suo bisogno di aria… non c’è la presunzione di insegnare niente a nessuno.

La città della camomila: il video

2. Il primo singolo si intitola "La città della camomilla", un appellativo noto a tutti gli abruzzesi quando si parla di Chieti. In realtà cosa volevi raccontare?

La parola “camomilla” stava bene nella metrica e nel suono che si produceva. Quindi da lì sono partito per raccontare quello che accade a Chieti… sono rimasto assai sul generale e decisamente ligio ai cliché - anche il video mette in piazza un enorme cliché trito e ritrito. Non è la nostra città il vero target della canzone ma è il potere costituito che domina e determina la vita di ogni cittadina di provincia, anche di Chieti. Quando il nucleo del potere è piccolo si scatenano frizioni e dinamiche che nelle grandi istituzioni non possono verificarsi. È un mondo a parte… nei piccoli paesi ancor di più… nella generica “città della camomilla” accadono cose che ormai ci hanno annoiato, ce ne lamentiamo tutti i giorni ma alla fine nessuno di noi muove un dito. Ma la cosa peggiore e quando vedi i ragazzi della tua città, quelli giovanissimi che hanno la fortuna di poter stare in quegli ingranaggi e finiscono invece di fare esattamente le stesse cose di cui prima ci si lamentava al bar.

La canzone ripete di questa “camomilla” come un deterrente o un lasciapassare a tutto quello che non va bene: i ragazzi che a chiacchiere hanno energia per la rivoluzione li vedi popolare feste e locali a suon di alcool ma se li inviti ad incontri culturali, concerti o altro del genere neanche rispondono. E così la storia continua da generazioni. Per portare gente in piazza devi organizzare una cover band e devi dar loro da bere a due soldi. Dall’altro lato, chi ha il potere di decidere e di seminare altro, magari qualità e cultura, ovviamente va dietro a tutto questo sciame e al suo “interesse” felice di mettere poi sul giornale la foto di migliaia di avventori e poter dire a chi smista il potere che è stato lui e la sua organizzazione ad aver avuto successo. Un circolo vizioso che io in metafora metto in mano al solito prete, assessore, imprenditore o professore universitario. Quando la smetteremo di pensare solo al nostro privatissimo tornaconto forse potremo avere credibilità anche nell’usare parole come comunità. La nostra città, la nostra regione ha energie importanti rese nulle dall’avidità dei soliti interessi privati. Ma questo succede a Chieti come in qualunque altro piccolo centro. Non sto scoprendo niente di nuovo. Ci sto solo mettendo del ritmo…

3.L’invito è spegnere la televisione e sloggarsi dai social?

Questa sarebbe davvero la più grande rivoluzione che metterebbe in ginocchio il potere e tutti i potenti, tutti, anche quelli del petrolio. Darebbe spazio alle nuove forze politiche e farebbe davvero cambiare le cose perché andremo a levargli denaro, acqua e aria da respirare. I grandi centri di comunicazione detengono un controllo sulla nostra vita che non immaginiamo neanche. La facciamo breve: siamo in un momento in cui tutto il sapere è pilotato e la “controcultura” è vittima di un processo assai subdolo. Libertà si ma purché si usino canali di nicchia e poco popolati. La massa, il grande numero di noi tutti che smuove economie, decisioni, scelte politiche e quant’altro è ancorata ai grandi mezzi di comunicazione. E non fa impressione che per Chieti o per Pescara o per un qualunque piccolo centro si parli di X-Factor come un riferimento. Fa impressione che comunque giri l’Italia si parla di X-Factor o di altre schifezze simili. Il nostro celebrato pianista Michele Di Toro o il mio maestro di magia Ottavio Belli (tanto per citare qualcuno) hanno acquisito riconoscibilità popolare (e tanto altro ancora) solo dopo essere finiti in un talent della tv commerciale. Loro hanno una carriera e meriti notevoli e li dovremmo riconoscere a prescindere eppure tutti (o quasi) sanno solo sottolineare questo passaggio come un traguardo di merito. Inutile fare gli ipocriti, non serve a niente: se sul manifesto metti su che sei stato a “Italian’s Got Talent”, in platea ci trovi centinaia di persone in più. E il resto? Tutta la loro bellissima storia di prima? Ah si è vero… c’è anche la storia di prima.

Tutti stiamo diventando figli e fantocci di questa eterna rincorsa alla visibilità perché è inevitabile: diventare famosi è un valore oramai, di quelli che restituisce lustro e riconoscibilità al tuo mestiere. Se non sei qualcuno, se non passi in questa maledetta televisione anche il tuo lavoro vale poco e altrettanto poco è meritevole di attenzione.

Chiudo raccontandoti una cosa accaduta tempo fa proprio a Chieti. Portai a suonare un grande artista, anziano del mestiere, di quelli che si rifiuta anche di venir premiato al Tenco per un’etica che personalmente non condivido ma di cui apprezzo la salda coerenza culturale. Un artista che in gioventù andava in tour con i Nirvana… tanto per dire. Concerto gratis in un locale famoso di questa città. Ne parlammo anche su questo giornale, ci fu ampia promozione visto l’ospite. Risultato: 25 persone. Il giorno dopo, stadio di Pescara, Emma Marrone in concerto, migliaia di paganti e tra questi, a sganciare anche 40 euro per un biglietto del genere, c’era una comitiva di amici che fino al mese prima si lamentava con me che a Chieti non succede mai niente. Tutti a lamentarsi, tutti a sputare veleno sulla plastica della musica eppure, quella sera a Chieti c’erano 25 persone ad ascoltare un uomo che ha spinto un’Italia intera ad occupare gli antichi teatri per riportare l’arte al popolo. 25 persone. Ed era anche gratis. Però, la nostra cara Emma stava scritta anche sui volantini dei centri commerciali. E sono sicuro che ognuno di noi ha storie simili da scrivere e fine della storia.

Questo banalissimo esempio deve farci pensare. Io personalmente ho paura di come stiamo diventando…tutti… io compreso sia chiaro!

4. Tre dischi, “Anime Sotto il Cappello” (2008), “Il Mio Modo di Ballare” (2015, selezionato tra le migliori 50 opere in assoluto dal club Tenco) e ora “Ho bisogno di aria”. Lo consideri il disco della maturità? Come mai l'abbinamento disco-libro? Non sei nuovo a questa simbiosi…

Certamente sono affamato di critiche e spero ne arrivino di costruttive. Di contro sento che sia un tassello di maturità in più ad essersi aggiunto al piccolo rifugio culturale che mi sto costruendo. Un disco che per la maggior parte è prodotto dal vivo lasciando che anche i rumori e le flessioni di tempo e di intonazione siano parte integrante dell’espressione. Non sono un didattico e non ho la presunzione di chiamarmi cantante o musicista e quindi non ho alcuna dignità da salvaguardare in merito. Penso invece che sia una cosa pulita e sincera quella di mettere a nudo quello che faccio per chi avrà voglia e piacere di ascoltare e di leggere. Questo è un altro punto a cui tengo tantissimo. Oggi siamo inondati di musica plastificata, tutta uguale e perfetta, tutta figlia di un format anche quello. Quotidianamente lavoro con artisti e produzioni e non immagini quante copie delle copie delle copie vadano in giro, quanti retroscena, quanti magheggi vi siano dietro i brani che passano in radio e in tv. Nel mio piccolo, piccolissimo spicchio di mondo, dove non sono la fama né  il denaro il punto di arrivo, lascio che sia la semplicità e la sincerità a dettare i tempi e le regole. Questo disco è esattamente quello che senti suonare, un lavoro che mi somiglia tanto anche nella vita di tutti i giorni. Questo disco ha la faccia dei musicisti che lo hanno prodotto. Il romanzo che ho scritto, l’ho scritto di getto e ha la stessa identica forza. Ora incrocio le dita e vediamo se arriva come deve.

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5. A Chieti Scalo con Giulio Berghella hai fondato la Protosound Polyproject, azienda di produzione e promozione discografica. Sono passati tanti artisti da queste parti…

Sinceramente l’Abruzzo ultimamente lo coltivo molto poco. Nella canzone d’autore di casa nostra attendo il nuovo lavoro di Domenico Imperato, una penna assai interessante per me, uno dei tanti artisti passati dalla Protosound con il suo esordio “Postura libera”, proprio oggi esce il nuovo singolo dal titolo “Del mondo il canto". Poi abbiamo Adriano Tarullo da Scanno che è anche e soprattutto un grande chitarrista, fresco di pubblicazione con un disco dal titolo “Storie di presunta normalità”… abbiamo Francesco Costantini a Caramanico che assieme a Ovelio Di Gregorio ha pubblicato da pochi giorni un nuovo singolo dal titolo “In Silenzio” in lizza per il concorso “Musica contro le mafie” e tra l’altro i due hanno messo in piedi una “cantina” proprio al centro del paese che è un polo assurdo di energia e di condivisione musicale. Ma la lista potrebbe andare oltre accarezzando il jazz di cui il nostro territorio è ricchissimo… venerdì 24 saremo a Cepagatti a presentare con Michele Di Toro il nuovo disco di Piero Delle Monache, forse uno dei sax più importanti d’Abruzzo. Ma anche la musica cosiddetta colta, la classica ha delle pagine importanti nella nostra attualità. Siamo poveri di sperimentazione e di avanguardia anche se sul tema citerei gli amici Sherpa, forse uno dei progetti più belli della nostra regione in quanto a respiro interazione e psichedelia d’autore. Per il resto siamo davvero poveri di condivisione. Ecco un altro male del nostro tempo, figlio dei talent e dei format, di giudici e di competizioni. Siamo tutti in competizione. Ma l’arte non doveva essere incontro? La Protosound era destinata a chiudere lo studio, lo sapevamo bene fin dall’inizio ma ci abbiamo provato lo stesso. Quel posto ha fatto dialogare quasi tutta la musica del nostro territorio e non solo, pensate a Zibba che da Chieti è arrivato a Sanremo, gli anni di Radio per la classifica Indie Music Like del MEI, il format “Tutti i topi vogliono ballare” con una compilation pubblicata da Repubblica con artisti dal vivo passati dai nostri sutdi, da Filippo Graziani, The Niro, Mimmo Locasciulli oppure anche Max Pezzali, Massimo Priviero e tantissima “musica nostra” come i Discanto, Nduccio, Borghese, Dogs Love Company e tantissimi altri…

Avevamo un polo che poteva scrivere pagine importanti nella nostra storia. Opportunamente ignorato e lasciato da parte. Quanta fatica invitare a far cose ed elemosinare attenzioni da parte del territorio. Impossibile. Non è polemica, è la dura realtà e so benissimo che chi gestisce attività qui saprebbe capire a pieno quel che dico. In Abruzzo ci sono tantissime energie, meravigliose competenze e pochi ma buoni personaggi che sudano per dar loro spazio e voce… spesso inutilmente.

6. “Ho bisogno di aria” sarà anche un tour?

Parlare di tour mi sembra presuntuoso. Diciamo che sto chiudendo date di presentazione un po’ ovunque in Italia. Devo solo vincere la mia pigrizia e lottare con tempi e denari. Per il resto, a differenza della volta scorsa, direi che ho voglia di incontrare le persone e quindi cercherò di muovermi spesso per andare nei piccoli club, librerie o, come accaduto al FLA o come accadrà spero presto a L’Aquila, in piccolissimi teatri o sale da concerto. Lavoreremo molto, tutti quanti, per restituire come possibile una bella scena a questo lavoro.


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