Attualità

77esimo anniversario della liberazione di Chieti dal nazifascismo, la ricostruzione dello storico Paziente

Ma veramente fu la Nembo a liberare Chieti? È un’opinione largamente diffusa tra i chietini. È stata divulgata il 9 giugno 2014, per celebrare solennemente il 70° anniversario dell’avvenimento, dal “Comitato provinciale per la valorizzazione della cultura della Repubblica nel contesto dell’unità europea”  e dall’amministrazione comunale presieduta dal sindaco Umberto Di Primio.

Il Comitato affidò al colonnello Leonardo Prizzi, ex comandante del 183° Reggimento Paracadutisti Nembo dal 1994 al 1996, l’allestimento di una mostra, esposta nell’atrio del palazzo provinciale. Il consiglio comunale approvò all’unanimità una delibera, che rifletteva l’impostazione e il contenuto documentale della mostra. Conferiva la cittadinanza onoraria all’84° Reggimento Paracadutisti Nembo, con tale motivazione: il 9 giugno 1944 i paracadutisti ”giunsero nella città di Chieti e la liberarono da una dura occupazione, riuscendo a impedire che le forze occupanti mettessero in atto la già predisposta distruzione di numerose opere e manufatti più significativi”.

Sottoponiamo a verifica questa ricostruzione.

6-7 giugno

I tedeschi organizzano con cura la partenza dal capoluogo, sistemando postazioni armate nei punti strategici  di Porta Sant’Anna, della Marrucina e della Villa comunale, e minando strade, edifici e impianti, per farli saltare ad opera di guastatori.

8 giugno, festa del Corpus Domini, ore 16

I fedeli attendono con ansia l’inizio della tradizionale processione. Una lunga colonna di automezzi militari attraversa velocemente la città. Senza incidenti, sono in fuga i comandanti tedeschi; il famigerato tenente Mario Fioresi con alcuni fedelissimi della sua banda; i gerarchi repubblichini; il questore con agenti di PS; il prefetto Giuseppe Girgenti; le autorità amministrative (solo il podestà Alberto Gasbarri è rimasto al suo posto).  Angelo Meloni, nel libro agiografico su Giuseppe Venturi “Chieti città aperta”, ritiene miracolosa la coincidenza temporale tra la partenza della carovana tedesco-repubblicana e l’uscita dalla Cattedrale dell’Arcivescovo con l’Ostensorio.

8 giugno, sera

Entrano in azione i guastatori: distruggono le opere di presa dell’acquedotto, danneggiano la centrale elettrica e con le mine fanno saltare alcune strade. La città rimane senz’acqua e senza luce. I cittadini terrorizzati passano la notte tra scoppi di bombe, mine e granate.

9 giugno, verso le ore 18

I guastatori si accingono a far saltare tratti della Colonnetta per isolare la città, ma il tentativo fallisce. Il motivo è chiarito da due importanti testimoni e da alcuni documenti inediti consultati nell’Archivio storico comunale, non inseriti nella mostra. Primo testimone: Angelo Meloni. Nel citato libro leggiamo che fu l’intervento dei patrioti (si vergogna a chiamarli partigiani) e dei carabinieri a salvare la strada che collega Chieti con la nazionale Tiburtina. “I guastatori tedeschi avevano già cominciato a far brillare le prime mine quando vennero fatti segno a scariche di fucileria da parte di un gruppo misto di patrioti e di carabinieri. […] Fuggiti i tedeschi, i patrioti rendevano innocue le mine asportando coraggiosamente le micce e gli inneschi.”

Secondo testimone: Emanuele Di Patrizi, brigadiere della Guardia di Finanza. In un rapporto datato 9 giugno 1944 e pubblicato da Mario Zuccarini, afferma di aver guidato un gruppo di giovani partigiani e di volontari in uno scontro armato coi guastatori che stavano per far brillare le mine sulla Colonnetta, mettendoli in fuga. Il loro intervento salvò anche la cabina elettrica del Tricalle, il gasometro della città, i motori e i macchinari dell’ufficio elettrico tranviario.

I documenti inediti aggiungono testimonianze sulle azioni compiute da alcuni giovani volontari, tra i quali il partigiano Bruno Del Grosso (fratello di Trieste). Armati di fucili mitragliatori, moschetti e bombe a mano, hanno aperto il fuoco contro alcuni guastatori, che si accingevano ad accendere le micce per far saltare tratti della Colonnetta. Le azioni furono documentate in rapporti consegnati al Commissario prefettizio Domenico Spezioli, che li inviò al prefetto con la proposta di ricompense al valor civile.

9 giugno, ore 19,30

La 38ª Compagnia Paracadutisti Nembo, comandata dal tenente Cavallero, entra in città e la trova quasi del tutto smilitarizzata. Le truppe tedesche sono fuggite dirigendosi verso il nord. I guastatori sono stati costretti alla fuga; la Colonnetta e gli impianti della città sono stati salvati. I paracadutisti si limitano a compiere brevi azioni militari contro le postazioni tedesche collocate alle porte d’accesso della città. Il popolo, finalmente libero dall’incubo della guerra, dello sfollamento, della fame, delle violenze degli occupanti e dei repubblichini, accoglie con entusiasmo i “prodi liberatori” (Meloni).

Ma non per tutti il 9 giugno è un giorno festoso. Lo scrittore calabrese Corrado Alvaro, rifugiato nella nostra città, nel libro “Quasi una vita”, scrive che, mentre tutti fan festa, si  reca nella camera mortuaria e fissa lo sguardo pietoso su una madre che piange “il giovane figlio ucciso per errore, perché scambiato per un fascista” (è Mimmo Del Grosso, un altro fratello di Trieste, colpito da una bomba e morto dissanguato), e su un giovane soldato tedesco della retroguardia linciato dalla folla: “Era nudo sotto il lenzuolo insanguinato […] Dicono che sul suo viso nella morte vi fossero ancora le lacrime che aveva pianto. […] Soggetto di meditazione questo povero soldato che espia  le colpe e i delitti della sua nazione”.

Conclusione

Il contributo dei paracadutisti della Nembo alla liberazione di Chieti non è stato determinante, ma molto modesto. Il  consiglio comunale, con la concessione della cittadinanza onoraria all’84° Reggimento, ha operato una falsa ricostruzione storica della vicenda, per fini politici, con la complicità dell’opposizione, che ha votato a favore della delibera; dei membri del Comitato e del colonnello Prizzi, che intenzionalmente non hanno inserito nella mostra le due fondamentali testimonianze e i documenti sulla partecipazione volontaria di giovani civili.

Filippo Paziente, storico