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Chiusura hospice Torrevecchia, la lettera di un parente: "I luoghi del dolore non vanno rimossi, dovremmo chiedere scusa"

L'associazione La sinistra Chieti bene comune ha diffuso le parole di una persona che, suo malgrado, ha conosciuto da vicino la struttura per i malati terminali

L'hospice di Torrevecchia Teatina

Dopo la Fp Cgil, anche l'associazione La sinistra Chieti bene comune incalza sulla riapertura dell'hospice di Torrevecchia Teatina. 

Lo fa diffondendo la lettera aperta di "una persona coinvolta in prima persona nella vicenda", che si è rivolta all'associazione con una lettera. "La facciamo nostra - spiega l'associazione perché senza retorica ed acrimonia, con parole semplici e dirette, si appella alla nostra umanità, per ricordarci che la cura verso chi muore e la cura del proprio simile sono gli elementi distintivi del nostro essere uomini".

Da qualche settimana, com'è noto, sono sospesi i ricoveri nell'hospice della Asl, che a breve sarà destinata a ospitare un centro vaccinale. E l'associazione accusa: "Lo si è fatto per coprire una inefficienza scandalosa: non si era in grado di mettere a disposizione del presidio sanitario il personale necessario per farlo funzionare. Con questa scelta, però, si è lasciati senza cura i malati e sono stati lasciati soli i loro familiari. Così facendo, non solo si è deciso di fare morire in casa chi comunque non aveva più speranze di vita, ma si è anche scelto di farli morire senza quelle cure, dette 'palliative', che possono alleviare il dolore provocato dalla malattia. Si è deciso di addossare alle famiglie la cura del malato sia di giorno che di notte".

Attualmente, i pazienti possono chiedere di essere ospitati dall'hospice Alba Chiara di Lanciano, se c'è posto. 

La lettera rivendica l'importanza di avere un posto in cui trascorrere gli ultimi giorni in maniera dignitosa, con la giusta assistenza, la necessità di avere un posto che aiuti non solo i pazienti, ma anche i loro familiari. E, ancora, racconta come vive il dolore chi è costretto ad affrontarlo in prima persona e deve rassegnarsi anche alla morte imminente di un proprio caro. 

La persona che si è rivolta all'associazione parla della struttura di Torrevecchia come di "un centro prezioso, ove si alleviava, per quanto possibile, il fine vita o si accedeva a cure nel caso di tumori estesi o, purtroppo, non più gestibili dalla medicina. Un centro non solo sanitario, che offriva un supporto alle famiglie che vivono il loro congiunto come una persona che sta per lasciarli, ma che ha pur sempre diritto a non soffrire troppo. Io credo che rispettare il dolore e la fragilità umana serve a rendere tutti più sensibili alla vita".

"L’hospice, infatti, non è solo un fatto privato. Non è solo un contenitore di malati terminali. Al contrario - aggiunge - è un simbolo della ostinata intenzione della società umana di farsi carico della persona fino alla fine, della volontà di farsi carico del suo essere sempre ed ancora un nostro simile. È un luogo che accoglie e accompagna il dolore dei familiari. È un modo per dire 'non vi lasciamo soli'. È un modo per rendere sociale, quello che al contrario sarebbe solo un fatto familiare, privato, 'degli altri'. Mentre è anche 'nostro'. I luoghi del dolore non devono essere rimossi - invita - prima allontanando la morte dalla vista degli altri malati, poi eliminando fisicamente lo stesso hospice. Eppure, è proprio quello che è successo".

"Certamente servono posti dove vaccinare contro il covid 19, ma scegliere di farlo proprio all’hospice è come dire: fra i tanti posti possibili scegliamo questo perché abbiamo altre urgenze, abbiamo urgenze 'vere'; l’hospice è la struttura che si può sacrificare con meno danno. Eppure - sottolinea - niente impedisce di individuare altri luoghi pubblici: musei, scuole, chiese, cinema, posti di luce che non dovremmo spegnere ulteriormente per chi non ha più neanche il buio. Dovremmo chiedere scusa ai pazienti ed ai parenti che in questo momento di pandemia non hanno la possibilità di aver vicino chi soffre. Chiedere scusa è un gesto nobile, che anche i 'grandi' possono rivolgere ai 'piccoli'".


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